Interviste

INTERVISTA A MANUELA TOSELLI

Quando e come nasce il tuo percorso artistico?

Mi riesce difficile attribuire un tempo e una motivazione scatenante al mio lavoro.

La tendenza a classificare e inquadrare mi disturba.

Ho fatto l’Accademia tardi, quindi posso dire che ci sono arrivata anagraficamente matura. Questo oggettivamente.

In concreto, c’era già tutto, doveva solo essere tirato fuori.

E’ come quando inizi una percorso di psicoterapia, alla prima seduta non dici nulla, man mano che prosegui il cammino ti accorgi che hai molto da dire, e ogni volta racconti qualcosa di nuovo che riesce a prendere forma nel momento stesso in cui ne parli.

Così è per me il lavoro.

Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?

Studiare è stato molto importante.

L’arte non è solo figurazione è soprattutto ragionamento.

Sono molto incuriosita dalla persona che si nasconde dietro l’opera, mi aiuta a leggere meglio il lavoro e a capirne lo spessore della ricerca.

Mi rendo conto che per la maggior parte degli addetti ai lavori, questi dovrebbero essere degli aspetti distinti, ma l’opera, la performance, il video è fatto da uomini, con le loro storie, debolezze, abitudini e comportamenti che a mio avviso, aggiungono o tolgono completamente valore al loro operato.

Studio le biografie di artisti, prevalentemente contemporanei, forse per vicinanza storica, in cui scorgo dei caratteri comuni che mi affascinano.

L’aspetto formale è importante, ma per me non è tutto.

Ci sono opere che guardi e riguarderesti all’infinito trovandoci dentro sempre cose nuove, dei rimandi continui.

Sono quei lavori che solleticano la mente e che entrano nel cuore.

Non mi capita spesso.

Quando capita, comincia il dialogo ed è meraviglioso.

Per il tipo di lavoro che faccio, sono stata attratta subito dal lavoro di artiste donne, come Maria Lai e Louise Bourgeois.

Di loro, oltre alla manualità, mi ha affascinato la necessità di lavorare indipendentemente dagli schemi e dai vincoli imposti dal mercato.

Il lavoro nasce come esigenza, non come volontà di affermazione e preserva quella purezza e quella autenticità che raramente riscontro in molti artisti affermati, spesso prigionieri di ciò che fanno e che li ha resi noti.

Cosa cerchi attraverso l’arte?

Di dare forma a quelle cose che non ce l’hanno ma che esistono e con le quali vivo ogni giorno.

Quando riesco a darle corpo, riesco anche a vederne la grandezza e la consistenza, in questo modo è come se riuscissi a osservarmi dall’esterno con distacco.

Una sorta di gestazione emotiva e relazionale che materializzandosi si stacca da me, ma parla di me.

C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?

La mia ricerca è articolata, ed è difficile da descrivere in modo sintetico.

Posso sottolineare che un aspetto fondamentale è il medium che utilizzo, a volte combinato con altri materiali di supporto, ovvero: “la seta”.

Questo mezzo espressivo, grazie anche alla collaborazione con un laboratorio tessile che mi ha permesso di scoprire aspetti e proprietà del materiale dei quali ero totalmente ignara, ha un’importanza notevole nella mia ricerca per la grossa componente concettuale data dalla sua origine.

È un materiale che al suo interno porta il concetto di sacrificio.

Infatti per l’estrazione del filato, il bozzolo viene immerso in acqua bollente che scioglie la sericina e permette l’estrazione del cappio della bava.

Il baco al suo interno viene quindi ucciso prima di compiere la metamorfosi da crisalide a farfalla.

Paradossalmente, questa protezione che l’animale si costruisce nel momento di estrema fragilità, per proteggersi dall’esterno, diventa la sua condanna a morte.

In analogia al vivere contemporaneo, la fragilità è una condanna alla sofferenza.

Questo è un dettaglio del mio lavoro, non è tutto.

Ogni lavoro è diverso, e per citare Tracey Emin:

“Amico, hai visto solo la punta dell’iceberg… Gli artisti non dovrebbero produrre oggetti, dovrebbero parlare, discutere di se stessi: cosa mi piace, cosa odio? Io scrivo, parlo e mi ispiro soltanto alla mia vita… Facciamo tutti le stesse cose eppure nessuno ne parla ”. (estrapolato da un intervista all’artista Tracey Emin : http://www.trax.it/tracey_emin.htm)

Qual’è il tuo rapporto con il mercato?

È sicuramente importante, ma non è limitante.

La crisi si fa sentire, i collezionisti anche per colpa di alcune bolle speculative, fanno oggi più fatica a fidarsi di un emergente.

Sono più orientati verso nomi storicizzati, investendo in modo sicuro anche grosse somme di denaro.

Come dargli torto?

La crisi è una conseguenza, non una causa in arte.

Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?

Consiglierei di studiare, di informarsi, di aggiornarsi sempre.

Anche se non si può sapere tutto, vedendo quello che c’è in giro, si può difendere meglio il proprio lavoro.

Inoltre consiglierei di non scoraggiarsi, di essere generoso, ma non troppo, di collaborare con altri artisti, di stare ad ascoltare e di ragionare sempre con la propria testa.

Questo è un lavoro solitario, ma necessita di uno scambio pulito con altri colleghi, meglio se amici artisti, galleristi o curatori.

Prima che artisti, siamo persone e come tali, abbiamo bisogno di relazionarci con gli altri e negli altri ritrovarci nella nostra umanità, più che professione.

Per concludere l’articolo mi servono quattro foto, poi vorrei aggiungere all’articolo anche dei contatti, un sito di riferimento o se profilo Facebook per poterti contattare!

Contatti:

http://www.manuelatoselli.it/v2/

https://www.facebook.com/manuela.toselli.3

Galleria RCcontemporary, Torino:

http://www.rccontemporary.com/

https://www.facebook.com/RiccardoCostantiniContemporary/

Galleria Villa Contemporanea, Monza.

http://www.villacontemporanea.it/

https://www.facebook.com/Villa-contemporanea-411607732214203/

Francesco Cogoni.

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