Interviste

INTERVISTA A JOSEPHINE SASSU

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– Come è scoccata la scintilla tra te e l’arte?
Potrei avventurarmi in una risposta romantica: sin della mia infanzia ho avuto la propensione, non tanto al disegno, quanto alla costruzione, avendo a disposizione un corredo di materiali tessili di mia madre, una piccola officina da bricoler di mio padre e un giardino in cui costruire casette per gatti e castelli di sabbia…. c’è da dire che le stesse cose erano a disposizione anche di mio fratello maggiore -magari non proprio attratto dai materiali tessili-, con risultati però estremamente diversi. Dopo gli studi dell’obbligo ho scelto di frequentare l’Istituto d’Arte, terminato nel 1989, anno in cui venne istituita l’ Accademia di Belle Arti di Sassari, frequentata come continuità naturale della maturità artistica.

Durante gli studi mi sono molto appassionata, sopratutto, di storia dell’arte, ma non pensavo minimamente di poter appartenere alla categoria degli artisti.

Se proprio devo trovare l’attimo in cui è scoccata la scintilla tra me e l’arte direi che, quasi certamente, è stato dopo qualche tempo che ho lasciato lo status di studentessa: quando più nessuno ti indica un percorso, ti dà giudizi, ti boccia o ti promuove: quando sei tu a decidere veramente chi vuoi essere e devi provarci.
Il tuo lavoro sembra fortemente legato al racconto, al mondo delle fiabe, che mondo abitano i tuoi personaggi?
La componente narrativa ha da sempre caratterizzato il mio lavoro ed è forse- insieme ad una certa continuità dei soggetti, sempre legati alla natura-, la costante più stabile del mio percorso.

Di sicuro però- vuoi anche per il fatto che ormai lavoro da venti anni-, così come il mondo reale, anche il mondo in cui si muovono i miei soggetti è mutato, fluttuando dall’onirico al realistico, senza mai comunque indicare coordinate definitive.
Che genere di letteratura preferisci?
Sono dislessica ma onnivora.

Oltre alla scrittura d’arte e i classici della letteratura, leggo volentieri saggi storici, gialli, divulgazione scientifica.

Amo molto gli scrittori sardi contemporanei, non tanto per campanilismo, quanto perché mi piace molto leggere di luoghi che io conosco ma che posso vedere, tramite le loro storie, in maniera inaspettata…. un po’ la sensazione che mi da’ viaggiare in treno con sconosciuti compagni di viaggio e sentire le loro vite raccontate a voce alta al cellulare: si va tutti verso la stessa meta ma nel frattempo si viaggia altrove.

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Quali sono gli artisti che ti hanno influenzato di più?
Ho sempre più pudore a fare nomi, non vorrei imbarazzare nessuno, né vivi né morti.

Diciamo però che due grandi figure sono ricorrenti nelle mie chiacchiere ventennali: Pino Pascali e Italo Calvino.

I perché spero lo possano rivelare i mie lavori – altrimenti citarli sarebbe un’appropriazione indebita -, ma in estrema sintesi, da entrambi ,ho cercato di carpire la leggerezza della pesantezza e\o viceversa.
Come vedi il sistema dell’arte, mercanti critici galleristi ecc. insomma che area tira?

Il sistema dell’arte è un meccanismo molto complesso e ogni operatore è indispensabile; qui in Sardegna più che altro non lo vedo, il sistema, o perlomeno è monco: è come se certa produzione fosse il risultato di un’arto fantasma, non è collegata al resto; vorrebbe correre ma non può.

Il lavoro artistico e culturale è spesso considerato una prestazione occasionale e fortuita d’opera.

Quando il sistema non è sistema, il prodotto perde, lo si vede chiaramente in moltissimi settori dell’economia e vale anche per l’arte.

Un’ artista considerando l’indifferenza collettiva, può convivere con il mondo e aiutarlo a migliorare?
All’inizio della mia carriera artistica- quindi quando ero molto più giovane e ingenua-, ho creduto che il contributo di un’ artista alla costruzione della fisionomia della società in cui vive potesse essere rilevante; ho persino pensato che scegliere di rimanere in Sardegna, malgrado tutte le difficoltà, fosse importante non solo per me ma anche per l’isola.

Si sa, la gioventù è terreno fertile per i più appassionati ed utopici ideali. Qualche mese fa, ascoltando il discorso di un politico sardo, sassarese e appassionatissimo d’arte, mi è venuto da piangere: sosteneva che gli artisti hanno il dono di vedere qualcosa che gli altri ancora non vedono. Sarà vero?

A me ha commosso molto, non perché mi senta chissà quale dotatissimo Nostradamus inascoltato, quanto per il fatto che, nonostante tutto, sono ancora convinta di poter dare molto alla società, se solo le mani di chi prende, e manovra i bottoni, non fossero bucate….

Ma si sa, la maturità è terreno fertile per i più nostalgici ed utopici ideali.
Cosa consiglieresti ad un giovane artista che vuol vivere d’arte?
Studia molto e parti.

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Francesco Cogoni.

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