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INTERVISTA A MASSIMO BATTAGLIO

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Quando e come nasce la tua passione per la scrittura?
Ho iniziato a scrivere all’università, ad Architettura.
Mi piaceva raccontare i miei progetti, narrarli attraverso la parola oltre che attraverso il disegno, spiegarne le ragioni oltre che le forme.
E quando studiavo storia dell’architettura, mi piaceva esercitarmi nel costruire vere e proprie “storie” con il materiale studiato, nella convinzione che la storia, anche quella dell’architettura, non ha molto senso se non viene per l’appunto raccontata.
Ho poi continuato così nel mestiere, ad ogni progetto svolto, soprattutto quelli di recupero di edifici storici.
Da lì sono passato a inserire personaggi nelle storie e quindi alla narrativa.
Quali scrittori hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Assolutamente i neorealisti, per la loro ricerca di adesione alla realtà, anche linguistica, e per l’attenzione all’analisi del quotidiano, che diventa anche indagine sociale e politica.
Ma anche Eco per la capacità di sovrapporre diverse narrazioni nello stesso racconto, e Benni per la sua concretezza svitata, e tanti altri, purché rispettassero sempre l’adagio calviniano sulla leggerezza: la capacità di andare a fondo senza far male.
Cosa vuoi esprimere attraverso la scrittura?
Non voglio esprimere me stesso.
Non credo di essere così importante da poter costringere un lettore a dedicarmi del tempo.
Cerco piuttosto di portarlo a riflettere su aspetti inesplorati dell’esistenza, della storia, dell’intorno a sé.
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C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?
Una caratteristica costante dei miei libri è di essere illustrati.
Penso che, in molti casi, invece di annoiare nella descrizione dei luoghi delle storie, tanto vale fare un bel disegno.
Mi hanno insegnato ad essere parco di parole, (ho iniziato a scrivere articoli di giornale prima che libri), e a dosarle facendo sempre attenzione che “non conta quello che volevo dire ma quello che si capisce”.
La bravura dello scrittore si misura nella capacità di far coincidere i due aspetti.
Qual’è il tuo rapporto con le case editrici e che possibilità ci sono di emergere per un giovane scrittore?
Purtroppo, le case editrici, pressate dalla propria difficile sopravvivenza, si stanno trasformando sempre di più in stamperie, in cui si fa tutt’al più un po’ di correzione di bozze.
Io ho scelto un editore il più possibile noioso, di quelli che fanno arrabbiare perché ti costringono ad argomentare ogni singolo particolare.
Anche lui però è alle prese con un mercato spietato, che costringe a pubblicare titoli su titoli piuttosto che a selezionare e promuovere il meglio.
Cosa consiglieresti ad uno scrittore che vorrebbe vivere di quest’arte?
Passione per la realtà.
Studiare tanto, prima di farsi prendere dal piacere della tastiera.
E prendere il tram, andare a piedi, in centro e in periferia, nei musei e nei giardinetti.
La scrittura deve sempre fare i conti con la vita, anche quando si scrive puro fantasy.
Perché i mattoni della costruzione letteraria sono comunque fatti di terra.
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Contatti:
Francesco Cogoni.
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