Interviste

INTERVISTA A GUI PONDÉ

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Quando e come nasce il tuo percorso artistico?

Mia madre era architetto, e sono cresciuto in questo ambiente.

I miei primi ricordi sono l’architettura paesaggista, disegni di piante, le trasparenze e le linee geometriche.

Quello era il mio mondo.

Ma trovavo tutto molto noioso…

Mi annoiavo, ma era l’unica cosa che avevo con cui giocare.

Così ho iniziato a disegnare e scarabocchiare sui progetti che lei gettava via.

Credo che l’ unico modo che avevo per interagire con la società intorno, era attraverso la mia espressione artistica.

Per me è sempre stato l’unico modo per posizionarmi nella dinamica sociale.

Quando sono diventato più grande ho iniziato a sviluppare un rapporto con il materiale; l’inchiostro, la carta, gli schermi ed i materiali solidi.

Nel corso del tempo ho iniziato a capire cosa volevo mettere a fuoco e comunicare con il mio lavoro.

L’essere umano è sempre stato la mia più grande fonte di ispirazione.

Il modo in cui ci relazioniamo e, soprattutto, come ci vede l’altro.

Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?

Tutte le persone che mi hanno influenzato o che io stesso ho influenzato, di solito non sono artisti o non necessariamente lavorano con l’arte.

Sono completamente affascinato dalle persone, ma credo che le cose che definiscono una persona affascinante sono tre: la spontaneità, l’eleganza ed il coraggio.

Mi spiego …

La spontaneità mi fa ricordare che siamo vivi, ci sentiamo come la natura: reagiamo da un sentimento o da una sensazione.

Mi ricorda che non siamo solo una regola di comportamento o solamente la lingua con cui comunichiamo.

Ma sopratutto che siamo un corpo vivente governato dalle emozioni.

L’eleganza per me non è il carattere estetico, ma è il modo di essere e di relazionarsi.

E vedo l’eleganza, come la capacità di ascoltare, di osservare l’altro, di praticare l’empatia.

Il bene ed il coraggio sono una delle cose più interessanti in una persona.

Cosa cerchi in arte?

Cerco di essere uno specchio, uno specchio per me e per le persone che guardano il mio lavoro.

La mia più grande ambizione è di riuscire attraverso la mia arte di far mettere le persone in discussione con se stesse.

Credo che il mio lavoro è un grande riflesso della mia personalità.

Si tratta di una ricerca allo stato puro ed di accettazione personale.

Mi sembra un po’ confuso parlare in questo modo, ma spero di esplorare le questioni e i problemi personali profondi semplicemente parlando anche di problemi comuni a tutte le persone.

In fondo siamo tutti uguali e ci sentiamo allo stesso modo.

Le nostre necessità sono le stesse.

Mi piace la metafora della forza.

Per me il modo migliore per comunicare non è essere letterale.

Questo ha molto più impatto.

Come Freud e la psicoanalisi; il paziente ha bisogno di giungere alle proprie conclusioni.

Non possiamo imporre un’idea di modo perentorio.

Che non funziona.

Il modo migliore è attraverso la costruzione di metafore, e indurre la gente a scoprire cosa intendiamo.

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C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?

Il mio lavoro ruota intorno al nostro rapporto con l’altro.

Come ci relazioniamo e come vediamo la gente.

Credo che sia in atto un grande cambiamento nella dinamica delle relazioni umane.

Il capitalismo ha trasformato il modo in cui costruiamo il senso del “collettivo”.

L’attenzione è diventata l’individuo e non il gruppo.

La ricerca per il valore di accumulazione ha generato una grande competizione tra le persone, e con esso è avvenuta una certa distanza, una alienazione.

Impariamo a vedere l’altro come un avversario, come una minaccia, quindi siamo sempre più isolati e ossessionati con noi stessi.

Credo che il mio lavoro esplori questi temi: la difficoltà nel vedere l’altro come un essere della stessa specie; pari a pari.

Costruiamo una complessa rete di suddivisioni e stereotipi.

La religione, sesso, nazionalità, la sessualità, le razze, classi sociali… tutto questo per differenziare noi dagli altri.

Viviamo in una guerra silenziosa in cui noi stessi siamo il nemico.

Credo che abbiamo bisogno di destrutturare i modelli dei valori cristallizzati nella nostra società.

E così avremo bisogno di vedere l’altro come un collaboratore e non come “fornitore”.

Questo è quello che cerco di fare nel mio lavoro.

Ripensare e ricostruire il nostro rapporto con l’altro.

Qual’è il tuo rapporto con il mercato?

Ho appena finito un master a Londra, che in qualche modo mi ha messo in un contesto con diverse persone nel mondo dell’arte.

Ho incontrato molti artisti e curatori, ma io non mi vedo come una persona con una buona posizione nel mercato.

Non ho intenzione di aprirmi e non sono un tipo molto sociale, so che è importante, ma non lo faccio.

Quello che faccio è cercare di costruire un solido rapporto con le persone che mi piacciono e con cui mi identifico.

Mi piace creare e coltivare le amicizie, e credo che tutte le cose più importanti della mia vita sono venute attraverso di loro.

Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?

Consiglio di produrre, fare di più e di essere aperto al mondo.

A mio parere, condividere idee con persone e amici è senza dubbio il modo migliore per svilupparsi intellettualmente.

Credo che viviamo in un mondo migliore rispetto al passato, potrei sembrare un ottimista, ma penso che non c’è mai stata tanta libertà e opportunità, che non significa che sia facile, non lo è comunque.

Dal momento che viviamo in un mondo dove potremmo essere tutti collegati, forse il segreto è semplicemente nella forza della collaborazione.

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sito: www.guiponde.com

Francesco Cogoni.

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