Interviste

INTERVISTA A FABIO ABBRECCIA

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Quando e come nasce il tuo percorso artistico?

Nasce da sempre, da quando non ne ho memoria, il misurarsi con l’opera, la tecnica, il discorso è un esigenza fisica a cui non puoi rifiutarti.

Ovviamente subisce delle evoluzioni in base alle esigenze che vanno man mano a svilupparsi negli archi temporali della vita, ma per me, oltre ad essere un lavoro, resta una forza a cui dare un atto fisico.

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Preferisco il rumore del mare

Che dice fabbricare fare disfare

Fare e disfare è tutto un lavorare

Ecco quello che so fare.

scriveva Dino Campana.

Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?

Un creare artistico è sempre figlio di una serie di contingenze, artisti tanti, penso a Liberatore, Miles Davis, Balthus, Led Zeppelin, Eliot, Bacon, Cartier Bresson, Carmelo bene, Celine….

Ma c’è qualcosa che eccede le paternità artistiche e la conseguente cultura, qualcosa che influenza in maniera ossessiva il mio lavoro ed è la paura.

La paura di stare fermo, la paura del banale, un quadro è una fissità dove scaricare quella della vita per non essere mai nello stesso posto.

Cosa cerchi in arte?

L’eccesso, lo sfondamento di un linguaggio, il sorprendermi, Emil Cioran leggeva per sconvolgersi e scriveva per lo stesso motivo, cerco un modo per sconvolgermi…

Ma non ci riesco quasi mai.

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C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?

Quello che mi interessa da sempre è spingere una ricerca allo stremo, è la possibilità di strappare ad una immagine una quantità di segni e colori per renderli un iperbole che abbia del musicale, indipendentemente dall’aspetto che poi il quadro assumerà, e mai addomesticarli per una leggibilità strettamente grammaticale.

Qual’è il tuo rapporto con il mercato?

Attualmente quasi inesistente, è difficile rapportarsi oggi ad una galleria, le grandi non sono facilmente accessibili e molte volte si interessano solo a ciò che è vendibile senza investire, le piccole realtà invece molte volte peccano di incompetenza, relegando così il tuo lavoro ad un esposizione mortuaria da cui difficilmente scaturisce qualcosa.

A oggi preferisco muovermi da solo.

Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?

Gli consiglierei di essere già ricco, di avere una buona dose di paraculaggine.

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Foto a cura di Nicola Buono.

Profilo Facebook: https://www.facebook.com/fabio.abbreccia

Francesco Cogoni.

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