Interviste

INTERVISTA A DANIELE MIGLIETTA

Quando e come nasce il tuo percorso artistico?
Non saprei datare con precisione l’inizio del mio percorso artistico.
Ricordo che alle scuole elementari mi divertivo a riprodurre con le matite colorate le immagini, figure di uomini o animali, del mio sussidiario meravigliando le insegnanti per la fedele riproduzione e la precisione dei dettagli.

È nata così la mia passione.
Si è insinuata e fatta strada in me da subito, fin dall’infanzia.
Ho avuto la fortuna di avere un fratello maggiore pittore che mi ha seguito, nei primi anni, nello studio e nella sperimentazione di alcune tecniche pittoriche.
Ho dipinto il mio primo quadro ad olio che ero ancora un fanciullo, una miniatura raffigurante un piccolo cerbiatto sdraiato nell’erba.
Poi in adolescenza mi sono appassionato alle crete colorate, agli acquerelli e ho sperimentato tecniche miste con inchiostro di china, polvere di gesso e acquerelli su cartoncino.
I miei primi collezionisti, come succede a tutti i piccoli artisti, sono state le mie zie ed alcune amiche di mia madre.
Nel 1981 i miei genitori mi iscrissero all’istituto tecnico per Geometri.
Probabilmente mio padre desiderava che diventassi un ingegnere.
Dopo il diploma, il mio distacco dalle materie tecniche era ormai ben consolidato.
Mi dedicai per alcuni anni alla grafica pubblicitaria ed alla stampa serigrafica in una piccola azienda, senza mai abbandonare la mia più grande passione per il disegno e la pittura.
Intanto spendevo i miei guadagni acquistando materiale per dipingere e libri per studiare le tecniche e le opere dei miei artisti preferiti.
Da ragazzo ho partecipato a diverse mostre collettive nella mia città natale, Brindisi, riscuotendo sempre un buon successo di critica.
Nel 1989 all’età di ventuno anni vinsi il concorso internazionale “Trofeo città di Brindisi” con un dipinto olio su tela dal titolo “Millenovecento”.
Nel 1997 il trasferimento a Bologna.
Nel 2000 mi aggiudicai il terzo posto al “Concorso d’arte Sacra città di Chieti” (museo d’arte sacra di Chieti) con il dipinto ad olio su tela “Una nuova speranza”.
Fu nel 2013 che diedi vita alla mia prima mostra personale, nella galleria bolognese Arte+ di Tiziana Sassoli, intitolata “Termografie introflesse” con testi del pittore e critico d’arte Giovanni Pintori, un evento che riscosse un notevole successo sia da parte del pubblico con la presenza di personaggi del mondo dell’arte e dello spettacolo, tra i quali anche Ornella Vanoni, Eva Robbins, Senit, Bonaga, il direttore del Resto del Carlino Giovanni Morandi e tanti altri, sia dai media, con pubblicazioni su La Repubblica, il Corriere della Sera, il Resto del Carlino e servizi mandati in onda dai tg locali.
Spinto dal desiderio di cercare nuove forme e nuove tecniche per esprimere il mio estro creativo, decisi di presentare per la prima volta due mie opere di design in plexiglass alla mostra Expo arte 2015- V edizione della galleria Wikiarte a Bologna, presentata dal critico e storico dell’arte Philippe Daverio.
Nel 2015 partecipai alla 1° Biennale Internazionale d’Arte su Facebook, ideata dal critico e storico dell’arte Giorgio Grasso, vincendo con l’opera in acrilico su tela “Le mani, i piedi, la terra”.
Il dipinto fu esposto successivamente a Milano alla mostra EXPO International Contemporary Art presso la Centrale Idroelettrica di Trezzo D’Adda. Sempre nello stesso anno ho partecipo alla 1° Biennale Internazionale d’Arte in Umbria classificandomi terzo con l’opera “Without flag” premiato dal Sindaco di Montone e dal Maestro Luca Alinari.
Dopo aver preso parte a diverse mostre collettive nella Galleria Farini Concept di Bologna, nel novembre del 2015 vi allestisco la mia seconda mostra personale intitolata “Iconografia dell’essenza” in collaborazione con Banca Generali Private Banking e presentata dal critico e storico dell’arte Giorgio Grasso con testi del critico d’arte Azzurra Immediato.
Anche qui l’attenzione dei media con articoli su La Repubblica, il Resto del Carlino, il Corriere della Sera e i TG locali. Nel 2016 entro a far parte degli artisti in permanenza nella Mediolanum Art Gallery di Padova e nella galleria Spazio Anna Breda di Padova.
Quali persone, artisti ed episodi hanno influenzato maggiormente il tuo lavoro?
Sono continuamente influenzato dai grandi della storia come Michelangelo e Leonardo, Caravaggio, dal surrealismo di Dalì e dalla metafisica di De Chirico.
Sono sempre stato incuriosito e affascinato dalle loro opere, e forse inconsciamente mi sarò fatto contagiare più da uno che dall’altro.
Forse! La passione per il corpo umano mi ha portato ad intraprendere studi sull’anatomia topografica.
Adoro sperimentare e mettermi alla prova affrontando nuove tecniche e soggetti sempre più complessi.
Per non annoiarmi mai.
I miei lavori sono spesso degli autoritratti, sia fisici che psicologici, idealizzati, universalizzati e rapportati al momento è all’epoca che stiamo vivendo, con tutti i miei drammi, le mie gioie e le mie paure.
Mi piacciono le opere del fotografo statunitense Robert Mapplethorpe e la malinconia celata nel “giovane uomo nudo seduto in riva al mare” del meno contemporaneo Hippolyte Flandrin.
Cosa cerchi attraverso l’arte?
Utilizzo il “medium” dell’arte per poter incedere tra le pieghe del mio essere, conoscersi, esperire un modo di sentire che è, poi, quello attraverso il quale getto uno sguardo sul mondo, tramite cui innesco un atto analitico ed interpretativo.
Il risultato finale ha l’obiettivo di rendere protagonisti i fruitori, cioè il pubblico, gli amatori, gli osservatori dell’opera. In tale processo, le opere e le mie scelte stilistiche, si rivestono di un emblematica figurazione, che, per l’appunto, mostra l’essenza di ciò che io stesso sono.
Il mio sentire è come tradotto dal colore sulla tela, nelle forme, nel gesto, nel segno che lasciano trasparire le emozioni più autentiche.
La figura umana si rende protagonista, ergendosi al di sopra di una concezione squisitamente tecnica, per farsi “imago” analitica e strutturale, capace di seguire una doppia strada.
Con il mio “mimetismo iperrealista” da cui scaturisce la mia visione, metto in scena l’uomo, con le sue paure, i suoi drammi e, naturalmente, i suoi desideri; un uomo figlio di una società che va alla deriva, senza appigli, entro la quale, sento come necessaria la volontà di ritrovare e ristabilire un contatto atavico e primigenio con la vita è la natura.
C’è una parte della tua ricerca di cui vorresti parlare in particolare?
“L’essenza” è ciò che cerco di far emergere attraverso le mie opere, traduco mediante le mie pennellate costruendo un universo visivo che non è altro che la trasposizione di uno “status” dell’essere.
Apparenza ed essenza sono i termini filosofici e psicologici entro cui si fa strada la mia ricerca.
Un’alternanza tra Apparenza e sostanza, tra “maschera” ed entità.
L’esteriorità quindi è metafora di una profonda interiorità, le cui dimensioni emergono attraverso un lavoro psichico per il quale l’arte si rivela medium e percorso privilegiato.
“L’immagine è psiche” affermava Jung.
Ogni mia opera è una sorta di “confessione”, un momento scatologico di riflessione, è un varco verso una profondità di cui non si conosce dimensione e nella quale è necessario addentrarsi per scoprirne la reale portata.
“L’introflessione dei corpi” rappresenta uno dei punti cardine della mia ricerca artistica, uno di quei tasselli con cui si compone la speculazione del mio pensiero.
La forza apparente, che non riesce a nascondere completamente la debolezza interiore.
La fluidità delle pennellate che svelano quel che accade sotto la texture del bianco e del nero si pongono quale momento di sospensione tra essenza ed apparenza, tra ciò che si mostra e ciò che si cela, in una fusione di energia vitale e psichica.
Corpi introflessi immersi in una sostanziale atemporalità spaziale, in una neutralità che li rende universali.
Non vi è quasi mai un contatto diretto del soggetto con l’osservatore.
I volti, gli sguardi, le espressioni, ci sono negate, andiamo oltre, andiamo più a fondo cercando di leggere tra le pennellate ciò che accade dentro.
Nelle mie opere cerco di mostrare la nostra società che ha distrutto l’uomo con una sorta di claustrofobica presenza attraverso la metafora dell’immagine, attraverso quella sospensione di cui i soggetti dei miei dipinti si rendono protagonisti e nell’atto di denuncia attraverso le allegorie dei miei lavori.
Qual’è il tuo rapporto con il mercato?

È un modo di dire comune che il mercato dell’arte contemporanea sia ormai saturo e che gli artisti fanno sempre più fatica a vendere le proprie opere o spesso per vendere sono costretti a svendere.
Io non la penso così.
Oggi sono rappresentato da due gallerie importanti, una è la MAG Mediolanum Art Galleri di Padova curata dal critico e storico dell’arte Giorgio Grasso, per mezzo della quale ho avuto il piacere di farmi conoscere a vari collezionisti d’arte e critici autorevoli come Vittorio Sgarbi.
L’altra è lo Spazio Anna Breda, una galleria nel centro di Padova con una vetrina importante anche sul web attraverso Il sito artedesignshop.com.
Il mio rapporto con il mercato negli ultimi anni è migliorato molto.
Amo la trasparenza soprattutto con le persone con cui collaboro e questo credo mi abbia ripagato nei confronti del mercato ed anche della mia clientela con la maggior parte della quale ho rapporti diretti.

Cosa consiglieresti ad un artista che vorrebbe vivere d’arte?

Vivere d’arte oggi è possibile considerato che i pittori famosi viventi oggi sono numerosissimi e che finalmente si può sfatare un concetto popolare che un artista diventa famoso solo dopo la sua morte.
Il fatto è che bisogna essere realisti e non illudersi.
Molto dipende dalle capacità artistiche, dalla determinazione fin da giovani a studiare per conseguire i migliori risultati e soprattutto essere coscienti di dover superare degli ostacoli all’apparenza insormontabili.
Una gran dose di fortuna è sempre gradita ma soprattutto aprire le porte alla conoscenza e ai rapporti interpersonali che possano arricchire sempre più il proprio bagaglio culturale e non solo.
In conclusione credo che per vivere d’arte oggi bisogna avere uno spirito imprenditoriale sviluppato, avere la possibilità di investire tempo ed anche denaro, considerando che gli spazi gratuiti per i giovani oggi sono sempre meno.
Francesco Cogoni.
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